Su un rivolo d’acqua

Su un rivolo d’acqua

Voglio raccontarvi una storia inconsueta.

Di un luogo magico dove si respira ancora l’aria antica, come se il tempo si fosse fermato.

Dobbiamo andare indietro fino al XIII secolo.

Siamo nel pieno del Medioevo quando i nostri antenati costruiscono una struttura che si ispira direttamente a qualcosa che già i Romani avevano fatto.

Tutti noi conosciamo il famoso ponte acquedotto di Pont d’Aël. Una struttura ingegneristica incredibile. Al di sopra scorreva l’acqua mentre all’interno si camminava. Oggi possiamo tornare lì e sentire ancora quei passi che risuonano. Un altro luogo in cui il tempo non è mai scivolato via davvero.

Ed è proprio a questo che si ispirano i nostri antenati quando decidono di costruire il Grand Arvou.

Siamo a Porossan, poco sopra Aosta. Un luogo circondato dal verde dove spicca questo ponte acquedotto. Si sente ancora lo scroscio dell’acqua che ci trasporta in quel tempo lontano. Possiamo quasi vedere con gli occhi di queste vecchie pietre, sentire i respiri di chi è passato di qui. Di chi c’era e ha vissuto i nostri stessi luoghi.

Quest’opera fu costruita sul Ru Prévôt. I rus costellano la nostra Valle. Sono delle canalizzazioni che servono a portare acqua nelle zone più aride, dalle vette scendono verso valle, irrigando.

Una fitta rete fatta di acqua, tra le più organizzate dell’arco alpino in età medievale.

E allora, nelle giornate di sole, quando il forte vento ha spazzato via ogni nuvola e il cielo è limpido e azzurro, conviene fare una passeggiata, per un tuffo nella storia.

Per scoprire un angolo di passato ancora così presente.

Per approfondire:

Zanotto A., Histoire de la Vallée d’Aoste, Musumeci Editeur, Aosta, 1980

Ma che bel castello

Ma che bel castello

C’era una volta, tanto tempo fa, un signore, capo di una famiglia che si chiamava De Amavilla.

Siamo all’alba del XIII secolo e il signore aveva deciso di costruire un castello. Non era un vero e proprio castello come ce lo immaginiamo oggi con alte torri e verdi cortili. Era, in realtà, una casaforte: un unico blocco di muratura alto tre piani (immagine 1).

Questo strano castello era però circondato da una cinta muraria che lo rendeva un vero e proprio castrum, un luogo fortificato dove, in caso di guerra, tutti gli abitanti del borgo potevano rifugiarsi.

E, infine, era un simbolo di potere: osservandolo era chiaro a tutti chi comandava.

Un giorno, però, arrivò un’altra importante famiglia, gli Challant, e nel XIV secolo questo castello passò nelle mani di Aimone di Challant che decise che era giunto il momento di fargli cambiare forma, per farlo diventare più grande.

Aimone fece costruire una seconda cinta muraria e allargare il torrione, quella strana casaforte che era all’origine, rendendolo ancora più maestoso, simbolo del potere della sua famiglia.

Intanto il tempo passava e Aimone morì. Il castello passò dunque al figlio, Amedeo, che aveva un obiettivo: terminare i lavori che aveva in mente entro la data del suo matrimonio con la sua bella Louise de Miolans.

Eh sì, Amedeo voleva un castello ancora più grande e bello di quello del padre, e fu così che nel 1413, nel giorno delle sue nozze, la struttura si presentò arricchita di quattro torri, una ad ogni angolo, che la resero una vera e propria dimora signorile, proprio come voleva il suo signore (immagine 2).

I signori non erano però ancora soddisfatti, non si accontentavano mai, così verso la fine del secolo, decisero di alzare le torri realizzandone l’ultimo piano, un po’ più vicino al cielo. Ora sì che era davvero magnifico!

Passarono gli anni e poi i secoli. Ed eccoci giunti nel periodo 1713-1728, quando Joseph-Félix di Challant decise che era arrivato il momento di modernizzare un po’ l’aspetto di quel vecchio castello. Fu così che fece costruire i loggiati che chiudono ancora oggi gli spazi tra le quattro torri (immagine 3).

L’esterno rimase così, immutato nel corso degli anni successivi. L’interno, invece, subì ancora numerose ristrutturazioni, man mano che il castello cessava di essere una proprietà degli Challant per passare ad altre famiglie, di mano in mano, fino al 1970, quando la Regione Valle d’Aosta decise di acquistarlo e restituirlo alla collettività tutta.

Dell’edificio più antico resta poco, ma ancora si vedono alcune porzioni dei muri di fondazione. Se si fa silenzio e si ascolta, è ancora possibile sentire le storie che hanno da raccontare, i passi che hanno attraversato le stanze, i respiri, i pianti, le risa, i sospiri di paura e le urla di gioia. Se poi salite fin sopra all’ultima sala e arrivate nel sottotetto, potrete osservare le travi originali (immagine 4), datate al XV secolo, immortali frammenti di un lontano passato che ancora ci guarda, immutabile e misterioso.

Oggi questo castello è ritornato al suo antico splendore, in seguito ad un sapiente lavoro di ristrutturazione e restauro. Dimora divenuta museo restituito a tutti noi. Un gioiello da conservare e proteggere che conserva nelle sue pareti, nei soffitti e nelle stanze, tutta la lunga storia che racchiude, ancora visibile, quasi tangibile.

Una storia a lieto fine, questa, ed è così che voglio augurare anche a voi un lieto fine che possa portare sorrisi al nuovo anno che verrà.

Auguri!

Per approfondire:

AA.VV., Il castello di Aymaville, Collana Cadran Solaire, Aosta, 2004.

Platania D., Vallet V.M. (a cura di), Chateau d’Aymaville. Guida, Tipografia valdostana, Aosta, 2021

Tutto si trasforma III

Tutto si trasforma III

Eravamo rimasti al V secolo. La città ha il suo vescovo e la sua chiesa.

Nel corso dei secoli la chiesa lentamente modifica il suo aspetto per adattarsi meglio ai cambiamenti del culto. Per esempio, il fonte battesimale nel corso del tempo si rimpicciolisce e questo perché il battesimo cessa di essere praticato agli adulti e viene somministrato sempre più spesso ai bambini. Le vasche diventano sempre più piccole.

Nel battistero di V secolo, infatti, all’interno della vasca originale di due metri, ne viene ricavata una più piccola tramite l’inserimento di elementi in muratura. Ancora oggi i segni del tempo e dei cambiamenti sono visibili, impressi in fotografie materiali testimoni di un tempo lontano.

Una prima vera grande trasformazione avvenne nell’XI secolo. Allora vi era un vescovo ad Aosta che si chiamava Anselmo.

Anselmo decide che era giunto il momento di costruire una cattedrale degna della città e della sua importanza e fu così che iniziarono a comparire le tre navate e il curioso ingresso a sud. Le strutture del criptoportico che facevano capolino dal dimenticatoio man mano che i lavori avanzavano, infatti, impedivano la realizzazione del più consueto ingresso ad ovest.

I lavori durarono molti decenni nei quali comparvero due campanili che racchiudevano le absidi con cui terminavano le tre navate. Ancora oggi sono visibili, alti verso il cielo.

Il tempo passa e i lavori continuano e verso la metà del secolo viene realizzato il complesso occidentale (dove si trovano la facciata e l’ingresso attuale): due campanili racchiudono una grande abside occidentale.

Che aspetto curioso, questa cattedrale. Abside a ovest e ad est, ingresso a sud (immagine 1).

Ciò che rende la chiesa speciale, però, è il ciclo di affreschi ottoniani che illuminava la navata centrale e raccontava le storie di Sant’Eustachio. Quando si entrava doveva essere davvero meraviglioso osservare questi capolavori dai colori sgargianti. Sembra quasi di vederli, i fedeli, con il naso all’insù a leggere quelle storie disegnate, realizzate come messaggio e monito.

Di questi affreschi rimane ancora oggi un sussurro. Se si sale fino al sottotetto sarà ancora possibile ammirarne la lucentezza e la meraviglia (immagine 2). Furono distrutti con i grandi lavori di ristrutturazione che, tra XIV e XVI secolo, trasformarono completamente la chiesa, rendendola molto più simile a quella che vediamo oggi. Vennero abbattuti i campanili e l’abside occidentali e realizzata la facciata ad ovest, lì dove la vediamo ancora oggi, dopo qualche modifica.

Questi respiri del passato ancora visibili ci permettono di ricostruire una storia che altrimenti sarebbe perduta. Questi affreschi sono tanto più preziosi perché molto simili a quelli che si trovano nel sottotetto della chiesa di Sant’Orso, anche quelli ottoniani ma leggermente più antichi.

Una città che conserva due cicli di affreschi ottoniani è qualcosa di davvero incredibile.

Per approfondire:

AA.VV., La cattedrale di Aosta I, Collana Cadran Solaire, Aosta, 2007

AA.VV., La cattedrale di Aosta II, Collana Cadran Solaire, Aosta, 2008

Tutto si trasforma III

Tutto si trasforma II

Il racconto continua. Abbiamo lasciato la nostra domus alle soglie del IV secolo. Aveva dismesso gli abiti di semplice domus per indossare quelli di domus ecclesiae ed è proprio da qui che riprende la sua storia.

I fedeli si riuniscono in uno dei vani della casa perché quando il culto cristiano non è più considerato fuorilegge e i fedeli possono finalmente svolgerlo senza doversi nascondere, non tutte le città possiedono già chiese e cattedrali. Nella domus si svolgeva la santa messa eucaristica e anche la preparazione dei catecumeni al battesimo. Proprio per questo viene realizzato un fonte battesimale.

Il fonte però si trova all’interno del criptoportico, ormai non più utilizzato e dunque riadattato. Ancora oggi se si scende a passeggiare nel silenzioso e misterioso portico sotterraneo sono ancora visibili i resti di quell’antica testimonianza lasciataci dai primi cristiani di Aosta.

Sulle mura di questa domus, riutilizzandone anche alcuni ambienti, viene costruita la prima Cattedrale, la Cattedrale paleocristiana.

Secondo le fonti storiche, Aosta dovrà attendere fino alla metà del V secolo prima di avere un vescovo. Eppure gli scavi archeologici ci dicono altro. Infatti, le indagini archeologiche datano la cattedrale paleocristiana alla fine del IV secolo e se c’è una cattedrale allora c’è per forza anche un vescovo.

A est la chiesa terminava con un’abside, ad ovest era invece chiusa dal battistero principale che si addossava direttamente al muro del criptoportico. Un altro battistero verrà aggiunto sul lato nord nel V secolo. Una lastra inserita nel pavimento odierno conserva l’impronta dell’altare che si trovava in origine al centro del presbiterio. Testimonianza di un tempo passato eppure in qualche modo ancora presente.

Risalgono a questo periodo le contaminazioni tra un’architettura tipicamente latina, imponente e magnifica, e la decorazione a stile animalistico con animali che diventano nastri che si intrecciano e si rincorrono sulla superficie della pietra, tipica della cultura germanica (ne avevo parlato qui).

Alla fine del IV secolo la chiesa ha tutte le caratteristiche necessarie per essere la chiesa cattedrale della città.

Non era però la sola chiesa di Aosta. Con il diffondersi del nuovo culto religioso, ormai libero e non più costretto in spazi angusti, la città si cosparge di nuovi edifici religiosi, soprattutto fuori le mura dove accanto alla struttura vengono realizzati cimiteri. Più vieni seppellito vicino al santo, le cui reliquie sono conservate all’interno di ogni altare, più possibilità ci sono di entrare in paradiso. E così i perimetri di queste prime chiese si costellano di sepolture.

Tra queste ricordiamo quelle di San Lorenzo e Sant’Orso, una di fronte all’altra, costruite fuori le mura a est tra la Porta Praetoria e l’arco d’Augusto; quella di Santo Stefano, a nord nei pressi della Porta Principalis Sinistra, e la chiesetta fuori Porta Decumana, a ovest.

Entriamo nel V secolo. Aosta ha il suo vescovo, i fedeli hanno la loro Cattedrale. La sua storia però è ancora lunga e continuerà con il prossimo racconto.

Per approfondire:

AA.VV., La cattedrale di Aosta I, Collana Cadran Solaire, Aosta, 2007

Tutto si trasforma

Tutto si trasforma

Voglio parlarvi di un angolo della città, della sua vita e delle sue trasformazioni attraverso il tempo.

Tutto inizia nel 25 a.C., quando viene fondata Augusta Prætoria. Tra i suoi isolati, le sue strade, i suoi quartieri vi è un posto importantissimo. È il centro della città, un luogo di incontro e di aggregazione: il Foro. Qui ci si riunisce, ci si incontra.

Oggi questa zona è occupata dalla Piazza della Cattedrale e da Piazza Caveri. Le case e i locali che la animano ci impediscono di immaginare l’ampio spazio aperto che caratterizzava la città in età romana. Eppure riusciamo quasi a vederli, gli artigiani che vendono la loro merce nell’area della platea forense (la piazza vera e propria, ora piazza Caveri), a sentire il vociare della gente che si accalca, le risa dei bambini che giocano con le noci, i passi frettolosi di qualche ladruncolo.

Nei pressi di questo punto nevralgico della città, fulcro della vita politica, economica e religiosa, sono costruite alcune abitazioni, per i ricchi abitanti ovviamente, i patrizi. Ed è proprio una di queste case, una domus, la protagonista di questa storia. La sua storia ce la racconta lei stessa, attraverso le pietre che le sono appartenute e che ancora rimangono a testimonianza di quel lontano passato.

Ci troviamo sul lato orientale del foro, accanto al criptoportico, quel misterioso portico sotterraneo che delimita l’area sacra e la separa dalla platea (immagine 1). Qui gli scavi recenti (2005-2010) hanno portato alla luce alcune mura di questa casa e alcune tracce di intonaco dipinto! Chissà quanti piedi hanno calpestato i pavimenti, quanti banchetti, quante parole pronunciate tra le sue mura.

La vita della domus continua tranquilla fino al III secolo d.C., quando viene ricostruita: edificio quadrangolare con gli ambienti disposti attorno ad un cortile centrale.

La città sta cambiando, stiamo entrando in quel periodo denominato tardo antico, l’ultimo soffio di vita dell’Impero Romano. Questa domus cresce ed una parte di essa occupa un pezzetto della strada, segno tangibile di queste trasformazioni.

Trasformazioni che la portano a diventare, alle soglie del IV secolo, una domus Ecclesiae. Significa che una stanza della casa viene adibita a luogo di culto. I cristiani hanno da poco ottenuto la libertà di culto (editto di Costantino 313) e non tutte le città hanno il loro vescovo. In assenza di cattedrali, dunque, è nelle domus ecclesiae che si svolge il rituale religioso.

Non a caso è proprio sopra uno dei primi luoghi di culto cristiani della città, nei pressi di uno dei più importanti luoghi dell’Aosta romana, che verrà costruita la Cattedrale.

I sotterranei nascondono ancora tutti quegli anni, fotografie materiali che ci raccontano di un tempo lontano. Le mura della domus e quelle della prima chiesa con i suoi battisteri (sì, ne aveva ben due!).

Questa storia è solo all’inizio. Da domus a chiesa. Il racconto continua.

Per approfondire:

AA.VV., La cattedrale di Aosta I, Collana Cadran Solaire, Aosta, 2007

AA.VV., MAR Museo Archeologico Regionale. Guida Contesti Temi, Musumeci Editore, Aosta, 2014

Medioevo aostano

Medioevo aostano

Oggi voglio concentrarmi su Aosta, portandovi indietro nel tempo fino a quel momento in cui Augusta Prætoria divenne semplicemente Augusta.

Dopo il periodo di invasione in seguito alla caduta dell’Impero Romano Aosta si risveglia un po’ ammaccata*, ma gli edifici pubblici sono ancora in piedi. E sono ancora in piedi le mura.

Eppure è strano, quando ci immaginiamo quel periodo pensiamo agli aostani del tempo, armi in pugno, asserragliati dietro le mura con le porte blindate e gli attacchi dall’esterno volti a fare breccia per creare un varco e distruggere quella resistenza.

Non fu così: le mura furono lasciate intatte perché inutili, segno che ogni resistenza finì piuttosto presto.

Nel pieno Medioevo la città cambia volto.

Non vi è più la fognatura ma rigagnoli ai cui lati sono costruite le case, soprattutto in legno. Gli abitanti più facoltosi sfruttano invece le mura ancora in piedi degli antichi edifici pubblici romani, un tempo pieni di vita, che diventano così abitazioni.

La Porta Prætoria è quasi ostruita da case e si può entrare in città solo dalla sottile apertura settentrionale. Al centro è costruito il forno che cuoce il pane per tutto il quartiere. Se alzate lo sguardo e guardate la saracinesca, potrete vedere, ancora oggi, le tracce del fumo. Una fotografia immortale di quel tempo lontano.

La città è divisa in tre quartieri: MauconseilBicaria e Porta Sant’Orso.

Mauconseil, il quartiere settentrionale che ora troveremmo tra le vie Croce di Città e Aubert; Bicaria, il quartiere meridionale delimitato dal decumano massimo; Porta Sant’Orso, dal limite orientale dell’attuale piazza Chanoux fino a fuori le mura.

Ampie zone di questi quartieri sono occupate da campi e prati. La popolazione è diminuita a causa delle guerre e dell’incertezza e diverse zone sono rimaste disabitate.

Ogni quartiere ha il suo mercato e in fondo è quello che accade ancora oggi. Via Vevey, viale della Pace, via Saint-Martin-de-Corléans. Diverse zone, ognuna con il suo mercato. Echi di quel passato che in qualche modo permane nel mondo di oggi.

Ma non solo, ogni quartiere ha anche il proprio ospedale ed è retto da due sindaci eletti due volte l’anno.

La vita continua e riprende in una città profondamente cambiata ma non meno vivace. E nel frattempo i vari signorotti ricchi occupano i vecchi bastioni romani creando residenze là dove c’erano un tempo torri e porte e prendendo il controllo dei vari quartieri.

Così troviamo i nobili de Porta Sancti Ursi che si sono stabiliti nella Porta Prætoria e controllano l’omonimo quartiere, i nobili de Plovia (de Plouves) che occupano le torri del lato orientale delle mura che oggi si affacciano proprio su Piazza Plouves, e i de Casei (de Fromage), vassalli dei de Porta Sancti Ursi. Nell’anfiteatro si sono stabiliti i de Palacio (de Palais). Sul lato settentrionale troviamo i de Porta Augustæ (de La Porte) che controllano il quartiere di Mauconseil, mentre il quartiere Bicaria rimane sotto lo sguardo attento del visconte di Aosta.

Passeggiando tra le vie di Aosta, oggi, possiamo ancora vedere le tracce di quel passato. Riusciamo quasi a sentire il vociare allegro del mercato, le grida perché un bimbo impertinente ha rubato la frutta da un bancone, il chiacchiericcio, lo scorrere dell’acqua.

Sono gli anni in cui nasce la Fiera di Sant’Orso e Aosta è allegra e vivace.

*per informazioni su quelli che vengono erroneamente chiamati “secoli bui” rimando al mio articolo I colori dei secoli bui.

Per approfondire:

Zanotto A., Histoire de la Vallée d’Aoste, Musumeci Editeur, Aosta, 1980