Voglio parlarvi di un angolo della città, della sua vita e delle sue trasformazioni attraverso il tempo.
Tutto inizia nel 25 a.C., quando viene fondata Augusta Prætoria. Tra i suoi isolati, le sue strade, i suoi quartieri vi è un posto importantissimo. È il centro della città, un luogo di incontro e di aggregazione: il Foro. Qui ci si riunisce, ci si incontra.
Oggi questa zona è occupata dalla Piazza della Cattedrale e da Piazza Caveri. Le case e i locali che la animano ci impediscono di immaginare l’ampio spazio aperto che caratterizzava la città in età romana. Eppure riusciamo quasi a vederli, gli artigiani che vendono la loro merce nell’area della platea forense (la piazza vera e propria, ora piazza Caveri), a sentire il vociare della gente che si accalca, le risa dei bambini che giocano con le noci, i passi frettolosi di qualche ladruncolo.
Nei pressi di questo punto nevralgico della città, fulcro della vita politica, economica e religiosa, sono costruite alcune abitazioni, per i ricchi abitanti ovviamente, i patrizi. Ed è proprio una di queste case, una domus, la protagonista di questa storia. La sua storia ce la racconta lei stessa, attraverso le pietre che le sono appartenute e che ancora rimangono a testimonianza di quel lontano passato.
Ci troviamo sul lato orientale del foro, accanto al criptoportico, quel misterioso portico sotterraneo che delimita l’area sacra e la separa dalla platea (immagine 1). Qui gli scavi recenti (2005-2010) hanno portato alla luce alcune mura di questa casa e alcune tracce di intonaco dipinto! Chissà quanti piedi hanno calpestato i pavimenti, quanti banchetti, quante parole pronunciate tra le sue mura.
La vita della domus continua tranquilla fino al III secolo d.C., quando viene ricostruita: edificio quadrangolare con gli ambienti disposti attorno ad un cortile centrale.
La città sta cambiando, stiamo entrando in quel periodo denominato tardo antico, l’ultimo soffio di vita dell’Impero Romano. Questa domus cresce ed una parte di essa occupa un pezzetto della strada, segno tangibile di queste trasformazioni.
Trasformazioni che la portano a diventare, alle soglie del IV secolo, una domus Ecclesiae. Significa che una stanza della casa viene adibita a luogo di culto. I cristiani hanno da poco ottenuto la libertà di culto (editto di Costantino 313) e non tutte le città hanno il loro vescovo. In assenza di cattedrali, dunque, è nelle domus ecclesiae che si svolge il rituale religioso.
Non a caso è proprio sopra uno dei primi luoghi di culto cristiani della città, nei pressi di uno dei più importanti luoghi dell’Aosta romana, che verrà costruita la Cattedrale.
I sotterranei nascondono ancora tutti quegli anni, fotografie materiali che ci raccontano di un tempo lontano. Le mura della domus e quelle della prima chiesa con i suoi battisteri (sì, ne aveva ben due!).
Questa storia è solo all’inizio. Da domus a chiesa. Il racconto continua.
Per approfondire:
AA.VV., La cattedrale di Aosta I, Collana Cadran Solaire, Aosta, 2007
AA.VV., MAR Museo Archeologico Regionale. Guida Contesti Temi, Musumeci Editore, Aosta, 2014
Immagine 1. Il foro di Augusta Praetoria in arancione e in rosso la domus protagonista della storia, da AA.VV., La Cattedrale di Aosta I, collana Cadran Solaire, p. 6
Oggi voglio concentrarmi su Aosta, portandovi indietro nel tempo fino a quel momento in cui Augusta Prætoria divenne semplicemente Augusta.
Dopo il periodo di invasione in seguito alla caduta dell’Impero Romano Aosta si risveglia un po’ ammaccata*, ma gli edifici pubblici sono ancora in piedi. E sono ancora in piedi le mura.
Eppure è strano, quando ci immaginiamo quel periodo pensiamo agli aostani del tempo, armi in pugno, asserragliati dietro le mura con le porte blindate e gli attacchi dall’esterno volti a fare breccia per creare un varco e distruggere quella resistenza.
Non fu così: le mura furono lasciate intatte perché inutili, segno che ogni resistenza finì piuttosto presto.
Nel pieno Medioevo la città cambia volto.
Non vi è più la fognatura ma rigagnoli ai cui lati sono costruite le case, soprattutto in legno. Gli abitanti più facoltosi sfruttano invece le mura ancora in piedi degli antichi edifici pubblici romani, un tempo pieni di vita, che diventano così abitazioni.
La Porta Prætoria è quasi ostruita da case e si può entrare in città solo dalla sottile apertura settentrionale. Al centro è costruito il forno che cuoce il pane per tutto il quartiere. Se alzate lo sguardo e guardate la saracinesca, potrete vedere, ancora oggi, le tracce del fumo. Una fotografia immortale di quel tempo lontano.
La città è divisa in tre quartieri: Mauconseil, Bicaria e Porta Sant’Orso.
Mauconseil, il quartiere settentrionale che ora troveremmo tra le vie Croce di Città e Aubert; Bicaria, il quartiere meridionale delimitato dal decumano massimo; Porta Sant’Orso, dal limite orientale dell’attuale piazza Chanoux fino a fuori le mura.
Ampie zone di questi quartieri sono occupate da campi e prati. La popolazione è diminuita a causa delle guerre e dell’incertezza e diverse zone sono rimaste disabitate.
Ogni quartiere ha il suo mercato e in fondo è quello che accade ancora oggi. Via Vevey, viale della Pace, via Saint-Martin-de-Corléans. Diverse zone, ognuna con il suo mercato. Echi di quel passato che in qualche modo permane nel mondo di oggi.
Ma non solo, ogni quartiere ha anche il proprio ospedale ed è retto da due sindaci eletti due volte l’anno.
La vita continua e riprende in una città profondamente cambiata ma non meno vivace. E nel frattempo i vari signorotti ricchi occupano i vecchi bastioni romani creando residenze là dove c’erano un tempo torri e porte e prendendo il controllo dei vari quartieri.
Così troviamo i nobili de Porta Sancti Ursi che si sono stabiliti nella Porta Prætoria e controllano l’omonimo quartiere, i nobili de Plovia (de Plouves) che occupano le torri del lato orientale delle mura che oggi si affacciano proprio su Piazza Plouves, e i de Casei (de Fromage), vassalli dei de Porta Sancti Ursi. Nell’anfiteatro si sono stabiliti i de Palacio (de Palais). Sul lato settentrionale troviamo i de Porta Augustæ (de La Porte) che controllano il quartiere di Mauconseil, mentre il quartiere Bicaria rimane sotto lo sguardo attento del visconte di Aosta.
Passeggiando tra le vie di Aosta, oggi, possiamo ancora vedere le tracce di quel passato. Riusciamo quasi a sentire il vociare allegro del mercato, le grida perché un bimbo impertinente ha rubato la frutta da un bancone, il chiacchiericcio, lo scorrere dell’acqua.
Sono gli anni in cui nasce la Fiera di Sant’Orso e Aosta è allegra e vivace.
*per informazioni su quelli che vengono erroneamente chiamati “secoli bui” rimando al mio articolo I colori dei secoli bui.
Per approfondire:
Zanotto A., Histoire de la Vallée d’Aoste, Musumeci Editeur, Aosta, 1980
Come promesso ieri, questa sera vi racconto un’altra storia di popoli che si spostano, di scambi di cultura e di conoscenza.
Non è un racconto di fantasia, ma i protagonisti sono proprio uomini di pietra.
Sono comparsi alla fine degli anni Sessanta nella periferia occidentale di Aosta. Grosse pietre che facevano capolino dalla terra, incuriosite da quel mondo così diverso da quello che avevano conosciuto loro.
Erano rimaste sepolte quattromila anni. Molti passi avevano camminato su quei terreni divenuti strade, quartieri, case e poi asfalto, condomini.
Era cambiato tutto ma loro erano rimaste, testimonianza di un tempo lontano che tornava alla luce.
Per comprendere il loro mondo dobbiamo andare indietro fino al III millennio a.C. C’è già stata la rivoluzione neolitica, l’agricoltura e l’allevamento hanno sostituito la caccia e la raccolta e l’uomo ha iniziato a lavorare i metalli. Ci troviamo infatti nel mezzo dell’Età del Rame.
Gli abitanti della piana di Aosta hanno scelto un luogo importante, sacro. Siamo in quello che oggi è il quartiere di Saint-Martin-de-Corléans. Qui i nostri antichi antenati iniziano a scolpire enormi pietre. Realizzano figure umane, con vesti decorate, armi, lunghe sopracciglia e nasi pronunciati (immagine 1 e immagine 3).
Chi sono questi uomini di pietra? Ma poi, siamo sicuri sicuri che siano uomini? Perché non donne?
Non sappiamo chi siano. Gli uomini forse hanno le armi, le donne vesti sgargianti ma non è detto che sia così. Antichi re? Eroi? Divinità? Possiamo chiudere gli occhi e decidere noi chi vogliamo che siano. Antichi re e regine. Capi tribù.
La cosa curiosa è che le stele antropomorfe, questo il loro nome, si trovano anche al di là delle Alpi. E non sono solo simili a quelle di Aosta, alcune sono proprio uguali. Confrontate l’immagine 1, la stele a doppia spirale di Aosta, e l’immagine 2. Questa seconda stele è stata rinvenuta a Sion, in Svizzera, poco dopo il confine nella necropoli di Petit-Chasseur. Tutte e due hanno al collo la doppia spirale, un cinturone in vita e il pugnale.
Questo ci fa capire che le genti del passato vivevano in un mondo diverso dal nostro, dove non vi erano confini segnati per terra. Perlomeno, non come li conosciamo noi oggi. Non avevano macchine, aerei e non potevano comunicare con un telefono. Eppure si spostavano, si parlavano, si contaminavano a vicenda. Perché è evidente che tra i due popoli che vivevano ai due lati delle Alpi vi era un forte e stretto legame.
Questi giganti di pietra ci appaiono oggi maestosi. Ci fanno quasi paura, freddi e possenti. In verità non erano così: erano pieni di colori. Sulla loro superficie sono state infatti ritrovate alcune deboli tracce di colore.
Un sussurro di quella antica magnificenza.
Per approfondire:
AA.VV., Area Megalitica di Saint-Martin-de-Corléans. Una visione aggiornata, Regione Autonoma Valle d’Aosta, Aosta
Immagine 3, stele 31, da MAR Museo Archeologico Regionale Valle d’Aosta. Guida Contesti Temi, p. 29
Questa sera voglio raccontarvi una storia diversa. Una storia di tanto tempo fa. Chiudete gli occhi. Sentite questo suono? L’acqua scorre vigorosa, due fiumi che si baciano al centro di una Valle circondata da alte montagne innevate. Ancora senza nome.
Non ci sono case in pietra, né strade, non ci sono campi coltivati ma boschi e prati.
Ci troviamo nel mezzo di quel periodo che prende il nome di Mesolitico (X-VI millennio a.C.). L’età della pietra di mezzo. Molto prima dei Romani e molto prima dei Salassi.
La Valle è abitata da popolazioni di cacciatori-raccoglitori. Uomini e donne che si spostano, seguendo la crescita spontanea della vegetazione e il cammino degli animali.
Con il passare del tempo la gente inizia a stanziarsi in “campi-base” sul fondovalle, abitati per gran parte dell’anno dove si svolgono le attività principali della vita quotidiana. A questi si affiancano siti di altura, di montagna, in cui ci si sposta stagionalmente soprattutto per cacciare.
Ed è proprio in uno di questi siti che sono state rinvenute le tracce più antiche della Valle d’Aosta. Ci troviamo sopra i 2.200 metri, siamo sul Mont Fallère.
Qui sono stati rinvenuti alcuni oggetti risalenti a questo periodo lontano. Si tratta soprattutto di lame in quarzo ialino (cristallo di rocca). Se andate al museo archeologico le trovate nella prima vetrina. Osservandole riuscirete ad ascoltare il suono dei sussurri che raccontano di questo tempo lontano. Riuscirete a vedere le mani di genti antiche scheggiare la pietra e realizzare utensili fondamentali per la caccia. Ci sembrano così tanto lontane eppure è da lì che veniamo. Non saremmo qui ad osservare queste fotografie materiali di un tempo che fu, senza questi nostri antichi antenati.
Vi erano anche resti di selce lavorata. I manufatti in selce sono importantissimi perché ci raccontano un aspetto importante di questo tempo lontano. La selce non si trova in Valle d’Aosta. Com’è dunque arrivata fin qui? Le genti della Preistoria si spostavano. Percorrevano lunghe distanze scambiando con i popoli che incontravano manufatti e conoscenze.
Ci sembra strano, eppure era un mondo vivace di contaminazioni, di conoscenze scambiate, di culture che si mischiano. Non era un mondo statico ma ricco di colori.
Contaminazioni e scambi testimoniati anche da un altro luogo importante di Aosta, qualche millennio dopo.
Questa, però, è un’altra storia e ve la racconterò la prossima volta.
Per approfondire:
AA.VV., MAR Museo Archeologico Regionale. Guida Contesti Temi, Musumeci Editore, Aosta, 2014
Raiteri L., La ricerca sul popolamentodella Valle d’Aosta nell’Olocene antico: il sito Mesolitico di alta quota del Mont Fallère (Saint Pierre), in AA.VV., Bollettino della Soprintendenza per i beni e le attività culturali, Aosta
Lame in quarzo ialino mesolitiche (sulla destra), da MAR Museo Archeologico Regionale Valle d’Aosta. Guida Contesti Temi, p. 26