Tanto tempo fa, quando Aosta era Augusta Prætoria, non c’era nessun luogo in città dove poter seppellire i morti.
Era vietato: si seppelliva fuori le mura, oltre il pomerium, il limite sacro della città che coincideva con le mura.
Ed ecco allora che comparvero ai lati delle strade le epigrafi funerarie, le iscrizioni che parlavano direttamente ai passanti per tramandare la memoria di chi c’era stato, di chi aveva vissuto, camminato per quelle strade, di chi aveva parlato e sussurrato tra le mura di quelle domus, di chi aveva corso, rincorso, pianto e sorriso.
Fermati, tu, passante, ascolta le mie parole, leggi di me, chi sono stato, che cosa ho fatto, come ho vissuto.
Finché ho vissuto ho guadagnato denaro né ho mai smesso di perderne. È intervenuta la morte: ora sono libero da entrambi gli sforzi.
Così ci parla Publio Vinesio Fermo nell’epigrafe conservata al museo archeologico, rinvenuta nel 1728 nei pressi dell’odierna chiesa di Saint Etienne.
I numerosi ritrovamenti di iscrizioni funerarie, nonché resti di sarcofagi, nei pressi di questa chiesa situata poco oltre la Porta Principalis Sinistra, la porta nord dell’antica città, hanno fatto a lungo credere che qui si trovasse la necropoli settentrionale.
Questa ipotesi è stata però smentita dagli incredibili ritrovamenti degli scavi per la costruzione del nuovo ospedale. La necropoli settentrionale si trova certamente lì.
Perché allora ci sono così tanti ritrovamenti a Saint Etienne?
Nel Medioevo persino le necropoli diventano luoghi in cui recuperare materiale, così ecco che le pietre delle epigrafi, o i sarcofagi, diventano utili per essere riutilizzati come coperture di tombe o per diventare lastre murarie.
Ma non vi era solo una necropoli. Anche la strada che portava alla Porta Pretoria era costellata da epigrafi. Era importante mantenere un contatto con il mondo dei vivi. Se chi cammina si ferma a leggere di me, di chi ero un tempo, allora in qualche modo continuerò a vivere. Era un modo per esorcizzare la morte, per continuare a vivere attraverso il tempo.
Ed è proprio nei pressi di questa strada che verrà costruita la prima chiesa funeraria cristiana. La basilica paleocristiana di San Lorenzo e poi, di fronte, quella di Sant’Orso.
Perché nulla nasce per caso, c’è sempre continuità, come se quel suolo utilizzato per seppellire i morti continuasse con il passare del tempo, delle epoche e della mentalità, a mantenere un significato quasi spirituale, di rispetto. Da necropoli diventa chiesa.
Accade più o meno lo stesso alla necropoli occidentale, quella fuori Porta Decumana.
Lì, ancora oggi, è possibile scendere a vedere i resti di quell’antica necropoli. Una piccola porzione di quella grande area funeraria, conservata sotto gli edifici di quello che oggi è corso Battaglione.
Necropoli romana che diventa con il tempo luogo di sepoltura cristiano.
Aosta si sta trasformando, sta diventando una città cristiana.
Siamo nel IV secolo ma questa è un’altra storia.
Per approfondire:
AA.VV., MAR Museo Archeologico Regionale. Guida Contesti Temi, Musumeci Editore, Aosta, 2014
AA.VV., Il complesso monumentale di Sant’Orso in Aosta, Collana Cadran Solaire, Aosta, 2009
Zanotto A., Histoire de la Vallée d’Aoste, Musumeci Editeur, Aosta, 1980
Di un luogo magico dove si respira ancora l’aria antica, come se il tempo si fosse fermato.
Dobbiamo andare indietro fino al XIII secolo.
Siamo nel pieno del Medioevo quando i nostri antenati costruiscono una struttura che si ispira direttamente a qualcosa che già i Romani avevano fatto.
Tutti noi conosciamo il famoso ponte acquedotto di Pont d’Aël. Una struttura ingegneristica incredibile. Al di sopra scorreva l’acqua mentre all’interno si camminava. Oggi possiamo tornare lì e sentire ancora quei passi che risuonano. Un altro luogo in cui il tempo non è mai scivolato via davvero.
Ed è proprio a questo che si ispirano i nostri antenati quando decidono di costruire il Grand Arvou.
Siamo a Porossan, poco sopra Aosta. Un luogo circondato dal verde dove spicca questo ponte acquedotto. Si sente ancora lo scroscio dell’acqua che ci trasporta in quel tempo lontano. Possiamo quasi vedere con gli occhi di queste vecchie pietre, sentire i respiri di chi è passato di qui. Di chi c’era e ha vissuto i nostri stessi luoghi.
Quest’opera fu costruita sul Ru Prévôt. I rus costellano la nostra Valle. Sono delle canalizzazioni che servono a portare acqua nelle zone più aride, dalle vette scendono verso valle, irrigando.
Una fitta rete fatta di acqua, tra le più organizzate dell’arco alpino in età medievale.
E allora, nelle giornate di sole, quando il forte vento ha spazzato via ogni nuvola e il cielo è limpido e azzurro, conviene fare una passeggiata, per un tuffo nella storia.
Per scoprire un angolo di passato ancora così presente.
Per approfondire:
Zanotto A., Histoire de la Vallée d’Aoste, Musumeci Editeur, Aosta, 1980
Oggi facciamo di nuovo un grande salto indietro nel tempo e mentre saltiamo vediamo sotto di noi la Valle che si ricopre di verde. Spariscono i paesi, le strade, la città. Non ci sono le mura, gli edifici.
Ci sono due fiumi. La Dora e il Buthier, ancora senza nome. C’è una piana immersa nelle montagne, alte e innevate. E lì, nel mezzo, ci sono i nostri antenati che coltivano piante e allevano animali.
Siamo abituati a pensare a questo luogo come un luogo dei Romani, quasi come se prima non vi fosse nessuno, un luogo incontaminato che solo grazie ad Augusto divenne colonizzato e abitato dall’uomo.
Non fu così.
Prima dei Romani i Salassi e prima ancora popolazioni che abitavano in un territorio strategico e fertile, che intessevano legami con le popolazioni d’oltralpe, che commerciavano, che si spostavano.
Insomma, un territorio vivace e ricco.
Questi nostri antichi antenati non vivevano in città di pietra, non avevano edifici monumentali né statue. All’epoca si viveva in capanne costruite con materiale deperibile: legno, paglia, terra. Per questo facciamo fatica ad immaginarci quel tempo lontano: non ci sono resti visibili del passaggio di quegli uomini, donne e bambini.
O almeno così ci sembra.
Già, perché se si sa dove guardare, ecco che queste tracce compaiono e piano piano si riesce a ricostruire una storia che sembrava perduta. In fondo, gli archeologi servono proprio a questo, a riportare alla luce le tracce nascoste e permettere a tutti di comprenderle.
Forse non tutti sanno che circa una decina di anni fa gli archeologi hanno trovato queste tracce lontane durante i lavori per la realizzazione del parcheggio dell’ospedale in via Roma. Qui, sotto numerosi metri di terra, sono venuti alla luce frammenti di un antico insediamento. Buche di palo che permettono di ipotizzare la presenza di almeno due strutture lignee differenti. Due capanne! E poi ancora ceramica, focolari, materiale combusto.
Questi ritrovamenti si datano all’ Età del Bronzo, quindi siamo in quel periodo compreso tra il III e il II millennio a.C. Davvero tantissimo tempo fa!
Questo insediamento è probabilmente collegato a quanto rinvenuto nel corso degli scavi dell’ospedale Parini. Lì è venuto alla luce un sito davvero importantissimo, una fotografia che dalla Preistoria giunge fino al XX secolo. Un sito che con il cerchio di pietre, il guerriero celtico, le impronte dei Salassi, il cimitero romano, medievale e moderno, racconta davvero molto della nostra città.
Per questo gli scavi e ciò che hanno portato alla luce sono tanto importanti.
Questa, però, è un’altra storia.
Per approfondire:
Framarin P., De Davide C., Wicks D., Un nuovo insediamento preistorico in via Roma ad Aosta, in AA.VV., Bollettino dellaSoprintendenza per i beni e le attività culturali, Aosta, 2011
Eravamo rimasti al V secolo. La città ha il suo vescovo e la sua chiesa.
Nel corso dei secoli la chiesa lentamente modifica il suo aspetto per adattarsi meglio ai cambiamenti del culto. Per esempio, il fonte battesimale nel corso del tempo si rimpicciolisce e questo perché il battesimo cessa di essere praticato agli adulti e viene somministrato sempre più spesso ai bambini. Le vasche diventano sempre più piccole.
Nel battistero di V secolo, infatti, all’interno della vasca originale di due metri, ne viene ricavata una più piccola tramite l’inserimento di elementi in muratura. Ancora oggi i segni del tempo e dei cambiamenti sono visibili, impressi in fotografie materiali testimoni di un tempo lontano.
Una prima vera grande trasformazione avvenne nell’XI secolo. Allora vi era un vescovo ad Aosta che si chiamava Anselmo.
Anselmo decide che era giunto il momento di costruire una cattedrale degna della città e della sua importanza e fu così che iniziarono a comparire le tre navate e il curioso ingresso a sud. Le strutture del criptoportico che facevano capolino dal dimenticatoio man mano che i lavori avanzavano, infatti, impedivano la realizzazione del più consueto ingresso ad ovest.
I lavori durarono molti decenni nei quali comparvero due campanili che racchiudevano le absidi con cui terminavano le tre navate. Ancora oggi sono visibili, alti verso il cielo.
Il tempo passa e i lavori continuano e verso la metà del secolo viene realizzato il complesso occidentale (dove si trovano la facciata e l’ingresso attuale): due campanili racchiudono una grande abside occidentale.
Che aspetto curioso, questa cattedrale. Abside a ovest e ad est, ingresso a sud (immagine 1).
Ciò che rende la chiesa speciale, però, è il ciclo di affreschi ottoniani che illuminava la navata centrale e raccontava le storie di Sant’Eustachio. Quando si entrava doveva essere davvero meraviglioso osservare questi capolavori dai colori sgargianti. Sembra quasi di vederli, i fedeli, con il naso all’insù a leggere quelle storie disegnate, realizzate come messaggio e monito.
Di questi affreschi rimane ancora oggi un sussurro. Se si sale fino al sottotetto sarà ancora possibile ammirarne la lucentezza e la meraviglia (immagine 2). Furono distrutti con i grandi lavori di ristrutturazione che, tra XIV e XVI secolo, trasformarono completamente la chiesa, rendendola molto più simile a quella che vediamo oggi. Vennero abbattuti i campanili e l’abside occidentali e realizzata la facciata ad ovest, lì dove la vediamo ancora oggi, dopo qualche modifica.
Questi respiri del passato ancora visibili ci permettono di ricostruire una storia che altrimenti sarebbe perduta. Questi affreschi sono tanto più preziosi perché molto simili a quelli che si trovano nel sottotetto della chiesa di Sant’Orso, anche quelli ottoniani ma leggermente più antichi.
Una città che conserva due cicli di affreschi ottoniani è qualcosa di davvero incredibile.
Per approfondire:
AA.VV., La cattedrale di Aosta I, Collana Cadran Solaire, Aosta, 2007
AA.VV., La cattedrale di Aosta II, Collana Cadran Solaire, Aosta, 2008
Immagine 1. La cattedrale con le trasformazioni di XI secolo, da La cattedrale di Aosta I , p. 49
Immagine 2. Foto mia, un minuscolo assaggio dei meravigliosi affreschi nel sottotetto della Cattedrale
10.50 circa. Il sole sorge, fa capolino da dietro di lei, la Becca di Nona. I primi raggi si allineano perfettamente con il Cardo Maximus e illuminano la strada.
Aosta. Augusta Prætoria. Nasceva 2046 anni fa nel giorno del solstizio d’inverno. Il giorno del Sol Invictus quando le giornate tornano lentamente ma inesorabilmente ad allungarsi.
E io ti guardo, oggi, mia bella Aosta, mentre queste nuvole ci impediscono di vedere questa magia, frutto dell’ingegno non casuale dei Romani. Ti guardo e penso che tu sia davvero bella, con tutta questa storia che hai da raccontare.
Duemila anni impressi nelle tue pietre. Quanti passi hanno camminato sulle tue strade, quanti sguardi si sono appoggiati sulle tue mura. Quante risa hai visto, quanti abbracci, quante liti, quanti baci. Quanti amori nati e finiti. Quanta vita che ti ha attraversato.
Dal ponte romano all’Arco e poi dentro la Porta, al Teatro ancora lì, maestoso, a guardare i turisti curiosi. Il Cardo e il Decumano, divenute le vie principali del centro di oggi in cui la gente si affretta per le ultime compere natalizie. E ancora il Foro con il misterioso criptoportico e poi la cattedrale e le chiese cristiane e poi ancora oltre, nel tempo, fino alle strade e ai palazzi di oggi.
Io ti guardo mia bella Aosta e penso che tu sia davvero meravigliosa con questi duemila anni che hai sulle spalle.
Tanti auguri!
Il sole che sorge e si allinea perfettamente con il Cardo
Il racconto continua. Abbiamo lasciato la nostra domus alle soglie del IV secolo. Aveva dismesso gli abiti di semplice domus per indossare quelli di domus ecclesiae ed è proprio da qui che riprende la sua storia.
I fedeli si riuniscono in uno dei vani della casa perché quando il culto cristiano non è più considerato fuorilegge e i fedeli possono finalmente svolgerlo senza doversi nascondere, non tutte le città possiedono già chiese e cattedrali. Nella domus si svolgeva la santa messa eucaristica e anche la preparazione dei catecumeni al battesimo. Proprio per questo viene realizzato un fonte battesimale.
Il fonte però si trova all’interno del criptoportico, ormai non più utilizzato e dunque riadattato. Ancora oggi se si scende a passeggiare nel silenzioso e misterioso portico sotterraneo sono ancora visibili i resti di quell’antica testimonianza lasciataci dai primi cristiani di Aosta.
Sulle mura di questa domus, riutilizzandone anche alcuni ambienti, viene costruita la prima Cattedrale, la Cattedrale paleocristiana.
Secondo le fonti storiche, Aosta dovrà attendere fino alla metà del V secolo prima di avere un vescovo. Eppure gli scavi archeologici ci dicono altro. Infatti, le indagini archeologiche datano la cattedrale paleocristiana alla fine del IV secolo e se c’è una cattedrale allora c’è per forza anche un vescovo.
A est la chiesa terminava con un’abside, ad ovest era invece chiusa dal battistero principale che si addossava direttamente al muro del criptoportico. Un altro battistero verrà aggiunto sul lato nord nel V secolo. Una lastra inserita nel pavimento odierno conserva l’impronta dell’altare che si trovava in origine al centro del presbiterio. Testimonianza di un tempo passato eppure in qualche modo ancora presente.
Risalgono a questo periodo le contaminazioni tra un’architettura tipicamente latina, imponente e magnifica, e la decorazione a stile animalistico con animali che diventano nastri che si intrecciano e si rincorrono sulla superficie della pietra, tipica della cultura germanica (ne avevo parlato qui).
Alla fine del IV secolo la chiesa ha tutte le caratteristiche necessarie per essere la chiesa cattedrale della città.
Non era però la sola chiesa di Aosta. Con il diffondersi del nuovo culto religioso, ormai libero e non più costretto in spazi angusti, la città si cosparge di nuovi edifici religiosi, soprattutto fuori le mura dove accanto alla struttura vengono realizzati cimiteri. Più vieni seppellito vicino al santo, le cui reliquie sono conservate all’interno di ogni altare, più possibilità ci sono di entrare in paradiso. E così i perimetri di queste prime chiese si costellano di sepolture.
Tra queste ricordiamo quelle di San Lorenzo e Sant’Orso, una di fronte all’altra, costruite fuori le mura a est tra la Porta Praetoria e l’arco d’Augusto; quella di Santo Stefano, a nord nei pressi della Porta Principalis Sinistra, e la chiesetta fuori Porta Decumana, a ovest.
Entriamo nel V secolo. Aosta ha il suo vescovo, i fedeli hanno la loro Cattedrale. La sua storia però è ancora lunga e continuerà con il prossimo racconto.
Per approfondire:
AA.VV., La cattedrale di Aosta I, Collana Cadran Solaire, Aosta, 2007