Oggi facciamo di nuovo un grande salto indietro nel tempo e mentre saltiamo vediamo sotto di noi la Valle che si ricopre di verde. Spariscono i paesi, le strade, la città. Non ci sono le mura, gli edifici.
Ci sono due fiumi. La Dora e il Buthier, ancora senza nome. C’è una piana immersa nelle montagne, alte e innevate. E lì, nel mezzo, ci sono i nostri antenati che coltivano piante e allevano animali.
Siamo abituati a pensare a questo luogo come un luogo dei Romani, quasi come se prima non vi fosse nessuno, un luogo incontaminato che solo grazie ad Augusto divenne colonizzato e abitato dall’uomo.
Non fu così.
Prima dei Romani i Salassi e prima ancora popolazioni che abitavano in un territorio strategico e fertile, che intessevano legami con le popolazioni d’oltralpe, che commerciavano, che si spostavano.
Insomma, un territorio vivace e ricco.
Questi nostri antichi antenati non vivevano in città di pietra, non avevano edifici monumentali né statue. All’epoca si viveva in capanne costruite con materiale deperibile: legno, paglia, terra. Per questo facciamo fatica ad immaginarci quel tempo lontano: non ci sono resti visibili del passaggio di quegli uomini, donne e bambini.
O almeno così ci sembra.
Già, perché se si sa dove guardare, ecco che queste tracce compaiono e piano piano si riesce a ricostruire una storia che sembrava perduta. In fondo, gli archeologi servono proprio a questo, a riportare alla luce le tracce nascoste e permettere a tutti di comprenderle.
Forse non tutti sanno che circa una decina di anni fa gli archeologi hanno trovato queste tracce lontane durante i lavori per la realizzazione del parcheggio dell’ospedale in via Roma. Qui, sotto numerosi metri di terra, sono venuti alla luce frammenti di un antico insediamento. Buche di palo che permettono di ipotizzare la presenza di almeno due strutture lignee differenti. Due capanne! E poi ancora ceramica, focolari, materiale combusto.
Questi ritrovamenti si datano all’ Età del Bronzo, quindi siamo in quel periodo compreso tra il III e il II millennio a.C. Davvero tantissimo tempo fa!
Questo insediamento è probabilmente collegato a quanto rinvenuto nel corso degli scavi dell’ospedale Parini. Lì è venuto alla luce un sito davvero importantissimo, una fotografia che dalla Preistoria giunge fino al XX secolo. Un sito che con il cerchio di pietre, il guerriero celtico, le impronte dei Salassi, il cimitero romano, medievale e moderno, racconta davvero molto della nostra città.
Per questo gli scavi e ciò che hanno portato alla luce sono tanto importanti.
Questa, però, è un’altra storia.
Per approfondire:
Framarin P., De Davide C., Wicks D., Un nuovo insediamento preistorico in via Roma ad Aosta, in AA.VV., Bollettino dellaSoprintendenza per i beni e le attività culturali, Aosta, 2011
Come promesso ieri, questa sera vi racconto un’altra storia di popoli che si spostano, di scambi di cultura e di conoscenza.
Non è un racconto di fantasia, ma i protagonisti sono proprio uomini di pietra.
Sono comparsi alla fine degli anni Sessanta nella periferia occidentale di Aosta. Grosse pietre che facevano capolino dalla terra, incuriosite da quel mondo così diverso da quello che avevano conosciuto loro.
Erano rimaste sepolte quattromila anni. Molti passi avevano camminato su quei terreni divenuti strade, quartieri, case e poi asfalto, condomini.
Era cambiato tutto ma loro erano rimaste, testimonianza di un tempo lontano che tornava alla luce.
Per comprendere il loro mondo dobbiamo andare indietro fino al III millennio a.C. C’è già stata la rivoluzione neolitica, l’agricoltura e l’allevamento hanno sostituito la caccia e la raccolta e l’uomo ha iniziato a lavorare i metalli. Ci troviamo infatti nel mezzo dell’Età del Rame.
Gli abitanti della piana di Aosta hanno scelto un luogo importante, sacro. Siamo in quello che oggi è il quartiere di Saint-Martin-de-Corléans. Qui i nostri antichi antenati iniziano a scolpire enormi pietre. Realizzano figure umane, con vesti decorate, armi, lunghe sopracciglia e nasi pronunciati (immagine 1 e immagine 3).
Chi sono questi uomini di pietra? Ma poi, siamo sicuri sicuri che siano uomini? Perché non donne?
Non sappiamo chi siano. Gli uomini forse hanno le armi, le donne vesti sgargianti ma non è detto che sia così. Antichi re? Eroi? Divinità? Possiamo chiudere gli occhi e decidere noi chi vogliamo che siano. Antichi re e regine. Capi tribù.
La cosa curiosa è che le stele antropomorfe, questo il loro nome, si trovano anche al di là delle Alpi. E non sono solo simili a quelle di Aosta, alcune sono proprio uguali. Confrontate l’immagine 1, la stele a doppia spirale di Aosta, e l’immagine 2. Questa seconda stele è stata rinvenuta a Sion, in Svizzera, poco dopo il confine nella necropoli di Petit-Chasseur. Tutte e due hanno al collo la doppia spirale, un cinturone in vita e il pugnale.
Questo ci fa capire che le genti del passato vivevano in un mondo diverso dal nostro, dove non vi erano confini segnati per terra. Perlomeno, non come li conosciamo noi oggi. Non avevano macchine, aerei e non potevano comunicare con un telefono. Eppure si spostavano, si parlavano, si contaminavano a vicenda. Perché è evidente che tra i due popoli che vivevano ai due lati delle Alpi vi era un forte e stretto legame.
Questi giganti di pietra ci appaiono oggi maestosi. Ci fanno quasi paura, freddi e possenti. In verità non erano così: erano pieni di colori. Sulla loro superficie sono state infatti ritrovate alcune deboli tracce di colore.
Un sussurro di quella antica magnificenza.
Per approfondire:
AA.VV., Area Megalitica di Saint-Martin-de-Corléans. Una visione aggiornata, Regione Autonoma Valle d’Aosta, Aosta
Immagine 3, stele 31, da MAR Museo Archeologico Regionale Valle d’Aosta. Guida Contesti Temi, p. 29